La crisi della Serie A - Intervista a Marcel Vulpis:"Serve una rivoluzione culturale, sociale, aziendale ed economica. Un azzeramento del sistema".

In principio fu Javier Pastore, primo top player a lasciare il Belpaese e trasferirsi alla corte del principe ereditario del Qatar, Tamim Bin Hamad Al Thani, proprietario del Paris Saint-Germain. A distanza di un anno, il “saccheggio” ai danni della Serie A, portato avanti da Leonardo (DG del Paris Saint-Germain), continua con Lavezzi, Thiago Silva, la giovane promessa Verratti e ultimo, in ordine di tempo, Ibrahimovic.

Il calcio italiano è sempre meno protagonista a livello europeo, concentrato di più a contenere i bilanci che a essere protagonista del calciomercato. Le cause che hanno portato ai margini la Serie A, un tempo il campionato più bello del mondo, sono molteplici e cercheremo di capirle meglio insieme a Marcel Vulpis, Direttore di Sporteconomy, agenzia stampa italiana market leader nell'informazione giornalistica applicata al mondo dello sport-business.

Ultimamente molti si chiedono, perché il Financial Fair Play preoccupa così tanto le società italiane mentre club stranieri come il PSG e il Manchester City spendono a dismisura? Non è che gli sceicchi hanno in mente qualche artificio contabile per eludere il Panel Uefa?

Al momento c'è un solo dato di fatto: gli sceicchi (qatarioti o emiratini) se ne stanno completamente "fregando" dei paletti inseriti da Michel Platini all'interno del progetto del Fair play finanziario, come se aspettassero una sorta di "condono contabile" per il 2014, quando ci sarà il primo esame e le prime multe/punizioni per i club "scorretti".
Oggi Mancity e PSG sono le regine del mercato, anche se lo stesso club campione d'Inghilterra è alla finestra in una posizione di wait and see, cercando di capire quando finiranno gli acquisti della società transalpina. Sono questi due club che hanno monopolizzato e "drogato" il mercato delle compravendite dei calciatori, con buona pace dei procuratori inseriti in questo gioco al rialzo continuo.

Lo scarso appeal che riscuote la Seria A al di fuori dei confini nazionali è da imputare solo alla mancanza di stadi di proprietà o ci sono altre cause da ricercare magari negli organigrammi delle società?

La mancanza di stadi è il fiore all'occhiello di un sistema in crisi. Parlo chiaramente di quello italiano. Fino ad oggi i club, tutti nessuno escluso, si sono fortemente indebitati per acquistare calciatori piuttosto che creare asset da mettere a bilancio. I risultati? I calciatori cui abbiamo gonfiato la pancia fino a ieri, adesso volano all'estero dopo averci "dissanguato". Con buona pace di tutti i nostri "bravissimi" addetti ai lavori. Serve una rivoluzione culturale, sociale, aziendale ed economica. Serve un azzeramento dell'intero sistema. Serve l'ingresso di figure manageriali "certificate" e della fine delle cooptazione degli "amici di famiglia" o di persone inserite solo perchè di "fiducia". Mi sembra di vivere nel Medioevo. Quanti di questi soggetti sono mai stati chiamati a lavorare in altri settori del largo consumo? Credo neppure il 5%. Il mercato economico "reale", non quello del pallone, estremamente auto-referenziale non li cerca. Questa è la realtà, poi se vogliamo continuare a prenderci in giro facciamolo pure.

Sportfive che detiene i diritti per la titolazione dello Juventus Stadium non ha ancora trovato un partner commerciale per i bianconeri. Come si spiegano le difficoltà incontrate nella ricerca di un venue sponsor, nonostante l’enorme successo che l’impianto ha riscosso nella passata stagione?

Hanno fatto una valutazione errata o sopravvalutata del nostro mercato. Hanno creduto che siccome erano leader del mercato dei naming rights in Germania avrebbero potuto fare "strike" in breve tempo anche da noi sull'onda della novità di quello che sarebbe diventato lo Juventus Stadium. In piu' oltre a cio' è arrivata una crisi economica che continua a flagellare Europa e continente americano. In più i soldi da recuperare (72 mln di euro) sono troppi visto che a distanza di un anno quell'impianto non ha ancora un valore preciso in termini di nominazione. E ogni mese che passerà sarà difficile cercare di recuperare quei soldi. Sarà un miracolo se riusciranno a chiudere un giorno in area 4/4.5 mln di euro.

Il Manchester United, dopo il delisting del 2005, torna a quotarsi in borsa e sceglie questa volta Wall Street. Si torna perciò a parlare del connubio calcio e Borsa. Lei cosa ne pensa della quotazione delle società di calcio?

Se parliamo del mercato Italia la quotazione in Borsa di Lazio, Juve e Roma è stato un errore colossale, che fa capire come determinate scelte non siano mai state ragionate da chi aveva i cordoni del comando. Indicativo che i tre gruppi dirigenti di quelle quotazioni oggi non esistano più. Sono stati tutti sostituiti. Cosa ci hanno guadagnato gli azionisti-tifosi? Nulla. I club? Hanno avuto la possibilità di fare "raccolta" sul mercato in diversi momenti, ma senza fare investimenti di lungo periodo come gli stadi hanno perso l'unica possibilità di crescere ulteriormente.
L'unica cosa positiva è che almeno c'è un po' di trasparenza sulle informazioni legate ai bilanci. Altrimenti si cadrebbe nell'oscurità e bisognerebbe scaricare la camerale a fine anno per capire qualcosa.
Siamo come al solito un Paese veramente "desolante" se lo si analizza a tutti i livelli, compreso il mondo del calcio.
Quanto al Manchester mi sembra palese la volontà di fare "cassa" perchè l'attuale dirigenza lo ha fortemente indebitato sul sistema bancario. Servono soldi liquidi e presto. Mi sembra un errore madornale anche questo, per fortuna per una volta non legato ai nostri club.

Una recente ricerca ha stimato che una ipotetica superlega calcistica europea potrebbe generare un fatturato di 6,3 miliardi di euro. Quante probabilità ci sono che i top club europei possano accordarsi e dar vita a un campionato che per volume di affari sarebbe secondo solo alla NFL americana?

Di questo progetto della SUPER LEGA se ne parla da tempo, ma senza l'ok dell'UEFA sarà difficile che possa partire. Credo che possa essere più interessante piuttosto puntare a una armonizzazione dei contratti dei calciatori all'interno dell'UE, cercando di ridurre al 45-50% il peso dei salari sul fatturato globale delle società di calcio.

Nonostante la crisi mondiale e un calo del mercato delle sponsorizzazioni, il calcio europeo negli ultimi anni ha aumentato il proprio fatturato. Soffrono invece gli altri sport e in particolar modo il volley e il basket, società importati come la Benetton Treviso, la Sisley Belluno (ex Treviso), la Gabeca Pallavolo e la M.Roma Volley non si sono iscritte al prossimo campionato. Per sopperire alla mancanza di sponsor, la creazione di consorzi o di società ad azionariato popolare, può ritenersi una valida soluzione?

L'azionariato popolare è una idea suggestiva. Purtroppo l'Italia non è come la Germania, dove, per esempio il St. Pauli di Amburgo è da oltre 100 anni di proprietà dei tifosi (oltre 13 mila soci-tifosi e il sold out dello stadio da oltre tre anni).
Non c'è cultura sportiva, c'è solo questa ricerca ossessiva del risultato sportivo e non viene mai creato nulla di valore destinato a rimanere. Senza fondamenta i soldi dell'azionariato popolare in Italia verrebbero "bruciati" dal "furbone" di turno. Meglio evitarci altre figuracce sulle pagine della cronaca sportiva locale.
L'Italia ha un livello cultural-sportivo di bassissimo profilo. Il tifoso non è visto come un partner, come una risorsa da valorizzare, ma semplicemente come una mucca da mungere. Di fronte a questo approccio trovo impossibile al momento lanciare dei progetti credibili di azionariato popolare.
Magari nel futuro con altre teste, ma non credo che vedrò mai qualcosa di simile in vita.


Giuseppe Berardi

1 commento

Gianluca Santaniello ha detto...

Nello Sport business, come in tutti gli altri settori di questo Paese, ci sono generazioni nuove e ben formate, potenzialmente molto competenti, "tenute in panchina" (se hanno avuto la fortuna di accedere al settore) o "buttate in tribuna" a far da spettatori, dai soliti sistemi autoreferenziali